Cardiotocografia Somma-vesuviana

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Cardiotocografia

Si effettua applicando sull'addome materno due fasce recanti un diverso trasduttore, uno per la registrazione della frequenza cardiaca fetale ed una per la registrazione dell'eventuale attività contrattile.
Sebbene la durata dell'esame è variabile dovendosi, di regola, registrare un periodo di attività ed uno di quiete del feto in utero, solitamente il periodo di registrazione è di circa 30 minuti.

Negli ultimi giorni di gravidanza (a partire dalla 38a settimana di gestazione), la cardiotocografia rientra nelle indagini di routine; viene infatti svolta ambulatorialmente allo scopo di rilevare eventuali contrazioni uterine preparatorie, e controllare la normalità del battito fetale.

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La cardiotocografia viene utilizzata in epoca precoce in caso di:
- ridotto accrescimento fetale
- diabete gestazionale
- ipertensione gravidica.

Lo studio della frequenza cardiaca e della variabilità del battito in utero fornisce delle informazioni di un indiscusso valore sullo stato di benessere del feto. L'eventuale riscontro di decelerazioni del battito, a seconda della loro forma rappresenta un indicatore formidabile di diversi gradi di sofferenza.
La cardiotocografia fornisce inoltre informazioni sull'attività contrattile dell'utero. Questi tracciati risultano particolarmente utili nell'approssimarsi del parto.
La differenza fra un battito ed il successivo è detta "variabilità a breve termine". Poiché tutto ciò è sotto controllo del sistema nervoso centrale, nel momento in cui si viene a perdere il controllo sulla frequenza da parte delle strutture ipotalamiche, è segno che queste sono in sofferenza. La perdita della variabilità è quindi strettamente correlata alla sofferenza ipossica delle strutture centrali superiori, in quanto la frequenza è legata al livello dell'ossigenazione centrale.

Cardiotocografia somma-vesuviana

Ai fini della valutazione del tracciato cardiotocografico, si esaminano i seguenti parametri:
Frequenza cardiaca: è la linea di base, cioè la linea ideale che taglia a metà le varie oscillazioni. Essa dà la frequenza cardiaca di base e normalmente si attesta tra 120 e 160 battiti per minuto, se si tratta di un feto a termine, ma è maggiore se il feto è prematuro. Si parla di "bradicardia" se è inferiore a 120 e di "tachicardia" se è superiore a 160 battiti al minuto. Variabilità: è la differenza fra la frequenza massima e quella minima. La variabilità è l'elemento forse più importante per la valutazione del benessere fetale: un battito non più variabile indica uno stato di sofferenza neurologica del feto, mentre tanto maggiore è la variabilità, tanto meglio sta il bambino. La variabilità è tale se supera 5 battiti al minuto; normalmente oscilla sui 15 battiti al minuto. Accelerazioni: corrispondono di solito ai movimenti fetali. Le accelerazioni, per essere tali, devono superare i 5 battiti cardiaci al minuto e devono durare più di 15 secondi.

Decelerazioni: sono variazioni in basso della frequenza, caratteristiche del travaglio e definite in base al rapporto con le contrazioni uterine. Se sono assolutamente speculari alle contrazioni, cioè iniziano e terminano contemporaneamente, sono dovute ad un riflesso vagale per compressione della testa del feto e sono dette "precoci". Le decelerazioni sfasate rispetto alla contrazione sono dette "tardive" o "variabili" quando iniziano dopo la contrazione. Le decelerazioni tardive sono dovute ad insufficienza placentare, quelle variabili a compressione sul funicolo ombelicale (entrambe sono quindi espressione di ipossia cerebrale).

Le contrazioni uterine riducono l'ossigenazione e, se il bambino è già in uno stato di sofferenza fetale cronica, si vede che con la contrazione si scompensa (sofferenza fetale acuta). Durante il travaglio, il monitoraggio cardiotocografico permette di controllare se il bambino resiste bene allo stress indotto dalle contrazioni uterine, cogliendo sul nascere eventuali complicazioni, come l'ipossia, che richiedono il taglio cesareo. E' proprio questa la finalità ultima della cardiotocografia, nata con il chiaro obiettivo di differenziare lo stress fisiologico del travaglio dalla vera e propria "sofferenza fetale", caratterizzata da segni di incapacità del feto di compensare l'eventuale insulto ipossico.